Il referendum assurdo proposto dal governo Renzi ha perso.
Un terzo della Costituzione nata dalla Resistenza antifascista non verrà
cambiata. Il giovane si è dimesso pochi minuti fa con un discorso surreale in
cui si è preso la responsabilità della sconfitta. Lui, eroe greco dei nostri
giorni, fiero spartano sulla breccia Scultoreo Leonida che muore per tutti; non
c’è nulla di più populista del pavoneggiarsi di un leader (o presunto tale) che
offre il petto vigoroso alle lance. Nulla di più distante dall’idea di
partecipazione democratica di quell’improprio utilizzo di una retorica stucchevole
di una morte (politica) romantica e solitaria, nulla di più fastidioso di quell’assenza
assordante del noi. Non hai perso te, ha perso, soprattutto, un partito. Mai
citato il Partito di cui è segretario, nemmeno una volta. La chiave della sua
sconfitta e, prima ancora, della sua inadeguatezza sta tutta lì. Mi direte ma
la destra il mito dell’uomo forte ce l’ha da sempre; appunto la destra. Renzi
in teoria è stato un leader della (moderata, moderatissima) sinistra italiana.
Una sinistra storica, forte, radicata ed a volte radicale (secoli fa) che
sapeva capire le necessità primarie di un popolo e renderle legge attraverso percorsi
partecipativi lunghi, difficili ma collettivi. Ecco, anche simbolicamente, il
discorso di commiato (speriamo perenne) di quest’omuncolo dalla vita politica
italiana ha voluto, ancora una volta, ancora di più, inquinare, insozzare,
violentare le radici del pensiero politico della sinistra: esiste il noi! Poi
può piacere o meno ma la sinistra nasce dall’idea di eguaglianza e dentro quell’idea
lo spazio per l’io viene ridimensionato. (Angolo Nerd): il benessere dei molti
conta di più di quello dei pochi diceva Spock. Ecco se non vi va bene non è un
problema ma siete di destra. Basta saperlo. Però almeno a sinistra alcune cose
le devi sapere; sapere che cos’è il movimento operaio, che cos’è un padrone, come
funziona il mercato capitalista; cose così, insomma. Soprattutto se nella vita
vuoi fare politica. Ora leggo reazioni a caldo di poveri democratici che
speravano nel sì e che ora preconizzano, la morte della democrazia, la vittoria
del M5S (che io reputo una sciagura atroce, sia chiaro), dittatori latino
americani, espatri con le valigie di cartone…ecco, calma. Forse potrebbe anche
esserci una terribile involuzione a destra i segni ci sono tutti; ma prima di
morire ai piedi dell’altare vogliamo almeno chiederci il perché? A questo
referendum hanno votato milioni di persone, sono tutti pericolosi fascisti con
i denti affilati? Stesso ragionamento si potrebbe fare per la Brexit, per Trump
ma rimaniamo a noi. Ma porca miseria 20 di Silvio non ci hanno insegnato nulla?
Maree di lavoratori e disoccupati votavano e votano a destra. Perché? Cosa
caspita siamo stati in grado di offrire a sinistra? Il Jobs act? E vi
lamentante? Per capirci se avesse vinto il Sì l’Italia sarebbe di colpo divenuta
la patria dell’eguaglianza e della partecipazione? Ma davvero? È tutta
anti-politica. Quando perdiamo noi è sempre colpa dell’anti-politica. Ma vi
sfiora l’idea che, invece, questo voto tenga al suo interno anche un grande
desiderio di politica? Che forse una parte di chi ha votato No avrebbe una gran
voglia di partecipare ma non sa dove farlo? Ora non dico che bisogna per forza
promettere il socialismo ma nemmeno dire a milioni di persone: mi dispiace
lavorerai col voucher e morirai di fame! Dobbiamo fare qualcosa di
difficilissimo, dobbiamo scardinare l’IO dell’omuncolo e costruire NOI,
dobbiamo rispolverare antiche pratiche per scoprire che, forse, non sono così
inutili. Lo scrivevo qualche sera fa, il M5S che io reputo un male assoluto,
avrebbe vinto le elezioni ugualmente, finiamola di pensare che così non sarebbe
stato. Avrebbe vinto perché dice cose terribili ma anche perché noi non siamo
capaci di controbattere nulla che non sia la deprimente viltà del capitalismo.
Avrebbe vinto col suo nazionalismo assassino perché le leggi contro gli
immigrati le hanno scritte Napolitano e la Turco. Avrebbe vinto col suo antieuropeismo
di bassa lega perché nessuno dei leader della sinistra italiana è stato capace
di mettere in campo un ragionamento transnazionale che andasse in direzione
opposta a quella dell’austerity. Non avete perso un referendum avete perso una
classe negandone l’esistenza in un delirio post-turbo.minchia e poi un paese
che non avendo speranze preferisce votarvi contro anche rischiando un incubo.
Se a questo non saremo in grado di opporre una costruzione collettiva, periremo
uno alla volta, come individui, soli.
piccole storie ignobili
...il titolo di una vecchia canzone...piccole dimenticate storie da raccontare...un modo per condividere viaggi e spazi di riflessione con cadenza casuale e da latitudini differenti...climi...colori..persone che in qualche modo incontro e che mi raccontano...io riporto...fotografo ricordo e quindi quello che leggerete è sempre e solo..ignobilmente colpa mia....
lunedì 5 dicembre 2016
lunedì 28 novembre 2016
Que viva el CNEL!
IO giuro che non volevo; ho seguito questo psicodramma
referendario con scarsa attenzione, del resto di più non meritava, e con un
poco di sarcasmo. Vista dall’estero (dove risiedo più o meno saltuariamente)
questa campagna elettorale pare piuttosto ridicola. Anche ad osservatori poco
attenti. Insomma il globo pare attraversato da questioni ben più serie di
questa perché troppe persone spendano tempo ed energie per affrontare una
confusa (e confusionaria) riforma costituzionale. Nelle ultime ore, però, mi sono
convinto che una cosuccia la dovevo scrivere, anche solo per i posteri, anche
solo per poter dire a chi verrà dopo di me: lo vedi? Mentre il pianeta
scivolava nel delirio neo-nazionalista ed i miei compatrioti erano intenti a
discutere cose con poco senso; io lo dicevo. Ecco diciamo che i toni
millenaristi della campagna elettorale mi hanno veramente stancato. Lo dico per
dovere di cronaca, raramente mi sono trovato d’accordo con Bifo ma c’è un post
sul blog del suo movimento che mi è parso corretto. Il succo è: l’Europa non
esce dalla crisi, i popoli guardano a destra e voi pensate a queste cagate? Per
carità è una banalizzazione ma di fatto questo è. Ecco mi trova abbastanza
d’accordo. Non credo che se dovesse vincere il Sì si ribalteranno chissà quali
equilibri istituzionali; è un pasticcio è una riforma scritta malissimo e
pensata per snellire, velocizzare e, forse, banalizzare, cose che, a mio
parere, avrebbero invece bisogno di essere ponderate, lente ed a volte persino
macchinose. Provo a spiegarmi. La legge è sempre espressione di una classe
dirigente. Le norme giuridiche rispondono a complessi equilibri sociali che
dovrebbero evitare la guerra civile permanente ma non lo scontro. La democrazia
è questa. Si tratta di un’infinita e lunga rottura di palle. Per questo questa
riforma è sbagliata. Non si tratta solo del fatto che è scritta da dei cani che
farebbero meglio a fare causa alle proprie scuole medie; è sbagliata perché
strizza tremendamente l’occhio ad una deriva populista. Velocità e dinamismo.
Poi, ripeto, è scritta talmente male che non succederà nulla ma il cuore, il
pensiero profondo è la ricerca affannosa di una scorciatoia verso lidi di
sfolgoranti ascese elettorali, attenzione, ma che poco hanno a che fare con il
politico. Non è una riforma è una scorciatoia un po’ furbetta che dice
all’elettore medio: hai visto ho tagliato i costi della politica. Ecco, io
sarei per alzarli, invece. La politica è una cosa seria, le democrazie devono
comporre interessi contrastanti ed a volte è difficile. La politica deve
trovare soluzioni complesse a problemi che la maggioranza di noi ancora non
vede. La politica è difficile e la democrazia prevede tempi lunghi e persone
preparate. Non serve fare più leggi se sono stupide. Le leggi dell’Imperatore
Giustianiano sono vecchiotte ma sono state alla base del pensiero giuridico
occidentale per qualche secolo: per dire se una cosa la fai bene, magari ci
metti tempo ma poi funziona a lungo. L’Europa sta sprofondando in un incubo di
stagflazione non solo economica ma morale ed intellettuale; dipingiamo dei
poveri disgraziati in fuga da guerre e miseria causate anche da noi, come
un’orda di Visigoti, distruggiamo il futuro del continente sull’altare
dell’accumulazione del capitale ed il problema è il referendum? Un po’ sì. Solo
un po’ sia chiaro. È un problema il pensiero che ci sta sotto, è poco
strategico anzi non lo è per nulla. Aldo Moro diceva che i politici pensano
alle prossime elezioni mentre gli statisti alle prossime generazioni. Ecco
dovremmo, forse, insegnare alle prossime generazioni, e ricordacelo anche noi,
che la democrazia è lenta e complicata che si tratta di pazienza e di visione
del futuro. Forse, però, visto che il futuro lo abbiamo dato per spacciato ci
accontentiamo della velocità anche nelle sciocchezze. Avremmo, credo, bisogno
di un pensiero strategico, che francamente manca, che pensi a modelli di
società. Dire vota Sì altrimenti faremo le leggi più lentamente non è
sufficiente; anzi. Io vorrei le faceste con calma perché sono importanti e regolano
la vita della comunità, gli impediscono di crollare in quella guerra civile che
tanti leader europei di destra sembrano
quasi auspicare. Dire pagheremo meno i politici mi spaventa perché mi viene in
mente che Trump ha deciso di non essere pagato affatto. Vorrei pagarli molto i
nostri politici in Europa, vorrei che prendessero decisioni sagge e che queste
decisioni nascessero da un confronto anche aspro perché quello è il cuore della
vita democratica. Non una maggioranza schiacciante che simula un unanimismo
sterile e vuoto. Lo scontro (non la guerra civile sia chiaro) è fondamentale ed
è lo sforzo della ricomposizione a fare la politica; per questo c’è bisogno di
tempo e c’è bisogno che le persone che dedicano questo tempo, il loro tempo e
la loro vita a un benessere collettivo, vengano pagate perché sia garantito
anche a chi non ha di fare la sua parte dentro il dibattito collettivo. Ma ci
stanchiamo, preferiamo un like, un post, un twitter; amiamo velocità
fagocitanti e comunicazioni inutili. La democrazia vuole tempi lunghi, lavori
faticosi e noiosi. Non si può decretare la bontà di una legge in un tweet on in
un anno. La sola vera cartina di tornasole da questo punto di vista è questa
crociata infame contro il CNEL che avrebbe dovuto essere un’istituzione di
programmazione importante ma che è rimasta lettera morta come tante altre parti
della Costituzione (pur splendida) di questo pese. Il CNEL non lo vuole nessuno
perché non ha funzionato, dicono. Non ha funzionato perché vi avrebbe riportato
ad un pensiero strategico, di programmazione, di lentezza e di saggezza. W il
CNEL!
martedì 26 luglio 2016
gli atei, l'amore e la morte
Mi dispiace ma non so descrivere la morte; nemmeno una morte
annunciata e che si attende come un taxi nell’androne di un palazzo mentre
fuori piove. Vorrei essere capace, vorrei che tutti gli inutili libri che ho
letto mi venissero in aiuto; ma loro no, se ne stanno bastardi e silenziosi a
guardarmi dagli scaffali. Io purtroppo non ho doni da mettere nelle bare, non
ho consolazioni da aggiungere ai fiori, non ho parole per descrivere ciò che
non so e che non riesco nemmeno a percepire. Cosa vuol dire attendere un non
meglio specificato nulla? Che significato ha il dolore fine a se stesso? Forse
nessuno. Forse non c’è spiegazione; forse la fine è solo intimamente se stessa.
Ed allora ha più senso pensare alla trippa ed ai mille involucri di plastica
che avvolgevi attorno ad ogni cosa che mi davi; forse ha senso solo rimanere un
secondo di più a stringerti la mano scarna fintanto sia possibile; non lo so ma
altro non so fare. Vorrei dirti che ho imparato a chiamare la natura per nome
perché l’ho visto fare a te; a te che non mi hai mai insegnato nulla ma mi hai
semplicemente mostrato il tuo modo di avvicinarti alle cose. Con grazia, sì in
qualche modo con una grazia semplice, con quella conoscenza che deriva dal
saper dare ad ogni cosa un valore, persino un’etica. Mi piacerebbe rendere il
tuo andare più lieve dicendoti che non sbaglierò e che mi prenderò cura di
coloro che hai amato come avresti fatto tu; ma ti direi una bugia. Non c’è modo
di rendere giustizia al tuo sorriso mentre guardi tua figlia provarsi un abito
nuovo o tuo nipote pronunciare i primi vagiti; e mentre lui sborbotta suoni
senza ancora alcun senso tu già senti che la fine sta giungendo. A volte più
rapida in una fitta di dolore, a volte lentamente in quella consunzione lenta
ma inesorabile che accompagna la malattia. Non mi è nuova la lunga liturgia di
esami e trattamenti tremendi che hanno sfiancato il tuo corpo e le nostre anime
ma, come sempre, mi ha dilaniato; ho tentato, ti giuro, di essere forte e di
supportare la dolce giovane donna che tanto amo e che mi onora della sua presenza
ogni giorno; non so se ci sono riuscito. Del resto per quanto mi sforzi non riuscirò
mai a non farle sentire la tua mancanza. Ma è giusto così.
Ecco io non sono un credente; ho rispetto per chi crede;
certo li guardo un po’ come i fratelli scemi che ancora si gettano anima e
corpo nelle favole ma un po’ li invidio. E chissà, forse, il mio rispetto
deriva proprio da quella invidia che sento; invidio il vostro senso di
sicurezza mentre io non riesco ad averne. Invidio la vostra stentorea verità
mentre io annego nei dubbi; invidio la vostra solida (chissà forse stolida)
credenza in un altro mondo fatto di pace e giustizia e lontano dalle brutture
di questo mentre stringo la mano della donna che amo e non so come consolarla;
non so aiutarla, non so spazzare via paure e dolore come se fossero cenere su
di un tavolo; mentre lei guarda sua madre morire, io vi invidio. Poi, però,
penso che starò al suo fianco e che non le mentirò e che sarò semplicemente
quello che sono senza cercare di sconfiggere un dolore immenso col quale
conviverà per il resto della vita; e che la sola cosa che potrò fare sarà
portare quel bagaglio di dolore con lei; non avrò risposte e forse per questo
cercherò di essere migliore, per rispettare una promessa non fatta ma alla
quale sono legato. Mi prenderò cura di lei ogni giorno e non avrò bisogno di
altro. Gli atei soffrono di più ricordatevelo! Gli atei cercano di essere
giusti per onorare la memoria dei loro cari che non ci sono più non perché
credono in qualche ricompensa. Non credo in nessun dio e se ci fosse lo sfiderei dal profondo delle mie viscere e rinascerei da qualsiasi inferno per raderlo al
suolo con la forza di un odio immenso e titanico. Sono ateo e amo quello che ho
come voi non capireste mai; sono ateo e la forza che discende da questa
consapevolezza voi non la sentirete mai. Noi, rispettiamo le promesse, anche
quelle non fatte. Non abbiamo speranze per questo amiamo disperatamente. Non
abbiamo fede per questo ci affidiamo senza riserve alla vita; e quando questa
scivola tra le dita non abbiamo risposte ma solo domande; non abbiamo salmi da
innalzare ad un cielo vuoto ma solo un canto che celebra, ancora ed ancora, la
vita. Quella unica ed irripetibile che voi non assaporerete mai; quell’esperienza
unica che non ha senso e per questo è così immensamente piena. Noi non
sappiamo, preferiamo vagare in un buio reale tenendoci stretti per non avere
paura anziché inventarci invisibili e muti dei che ci lasciano soli. Ed è per
questo non volersi abbandonare alla solitudine che rimaniamo lì; resistiamo in
piedi anche quando avremmo voglia di cadere. Perché sappiamo che aggiungere
solitudine a disperazione non porta a nulla. Starò qui finché sarà possibile.
Starò qui a cucinarti una volta di più, a stringerti mentre svanisci nel mio
abbraccio a restituirti quel poco che ho, quella speranza che parla al presente
e che si proietta in un futuro che non vedrai ma che ti appartiene perché noi
non crediamo in nulla se non nella vita. E celebriamo quella anche mentre ti
salutiamo un giorno dopo l’altro senza dirti che manterremo promesse che non
abbiamo fatto.
sabato 23 luglio 2016
come in un videogame
Cos’hanno in comune gli uomini e le donne che hanno
preparato e messo in atto gli attentati che negli ultimi 18 mesi hanno
sconvolto L’Europa occidentale[1]?
Molti, la grande maggioranza, erano di fede islamica. Non tutti erano musulmani
modello, anzi. L’ultimo addirittura era un ragazzo giovanissimo che in preda ad
un delirio di tipo nazionalista, oltre che ad evidenti turbe della personalità,
odiava i turchi e gli immigrati essendo lui stesso di origini iraniane. Come
possiamo tracciare una linea, per quanto tortuosa, che unisca l’attentatore di
Monaco con quello di Nizza e quelli del Bataclan? Come possiamo pensare che un
gesto isolato (almeno a 24 ore dall’attentato sembra esserlo stato) con un
piano complesso che fa capo ad un’organizzazione transnazionale che si auto
proclama Califfato? Forse, il cuore di questo tentativo è ancorato a quello di
egemonia in Gramsci. L’egemonia, ossia le forme di domino culturale che danno
forma alle società, non sono neutrali ma, in qualche modo, espressione della
classe dominante. Allo stesso modo si sviluppano lungo assi che travalicano la
cultura ufficiale ma che dipartono, a raggiera, abbracciando ogni modello
espressivo dalla letteratura alla musica ed all’arte fino al divertimento. Per
questa ragione le forme del dominio culturale sono così strettamente legate
allo specifico nazionale perché i loro codici sono connaturati ad una specifica
cultura nazionale; o quanto meno, e questo è cruciale, di un gruppo. L’appartenenza
è un dato culturale; anzi è il dato culturale per eccellenza. Fare parte di un
gruppo, una nazione, una tifoseria, una generazione, una fede, spiega al
singolo essere umano chi è, qual è il suo scopo oltre se stesso. In una parola
da senso non solo alla sua vita ma alla sua morte. Ora da circa quarant’anni il
modello culturale dominante delle società occidentali si è basato su di un’idea
portante estremamente forte e fortemente propagandata: l’individuo. Null’altro
vale se non l’individuo. Non mi metterò qui a fare una critica del
neoliberismo, non serve, sta fallendo da solo. Mi sta, invece, più a cuore
pensare alla diffusione massiccia di un modello culturale individuale e superomistico
allo stesso tempo. Sì perché se l’unica dimensione che conta è quella
individuale questo stramaledetto individuo che sono dovrà essere, per forza,
speciale, unico ed irripetibile. L’eroe di un videogame, di un film d’azione,
di una canzone. Chi in tutta coscienza vorrebbe essere comprimario o ancora
peggio semplice comparsa? Chi non aspira a dare alla propria esistenza un
significato che travalichi la sua morte? Lo Stato è in crisi, le società, la
famiglia, ogni tipo di istituzione sta vivendo un momento di stravolgimento.
Veniamo invitati a vivere vite straordinarie e solitarie; persino le pubblicità
dei deodoranti ci spingono verso titaniche traversate dei deserti in cerca del
senso ultimo dell’esistenza. Laddove questo senso ultimo rimane sempre lo
stesso: tu e soltanto tu importi. Non c’è nazione, progetto, politica, non c’è
futuro. Veniamo spinti a forza in un presente senza fine. A quel punto la fine
è il solo momento che appare degno di considerazione. Un uomo di successo se ne
va con stile e con il botto. Non vorrai mica morire in una periferia sfigata
come quella dove sei cresciuto, vero? Il lavoro, la mancanza di lavoro, la
famiglia, la società, persino la fede, son tutte cose importanti ma solo nel
momento in cui sacrifichi la tua eroica vita in nome di questi feticci. Sì
perché in realtà nessuno degli attentatori era un vero musulmano (cristiano od
ebreo, sarebbe stato lo stesso) e della santità del Califfato gli importava,
probabilmente, molto poco. Volevano distinguersi volevano vivere come un eroe
almeno per una volta. Sono cresciuti con Doom (non è vero ci sono cresciuto io
ma i videogame di ultima generazione non li conosco), sono invincibili e
muoiono solo perché lo scelgono. Sono solo morti eroiche. Non si disfano di
lavoro per crepare di malattie prese sul lavoro mentre ancora pagano il mutuo.
L’egemonia culturale, dunque, ha funzionato. Anche troppo bene. Non credo sia
un caso se la stragrande maggioranza degli attentatori fossero nati e cresciuti
qui in Europa. Siamo stati noi a dirgli di pensare solo a sé stessi e che il
futuro non esiste. Di che vi lamentate? Dei morti? Ma se son solo pupazzi? Loro
sì che sono inutili, loro sì sono solo personaggi del videogame: gli sparo ma
non lo faccio perché ce l’ho con loro. Anzi lo faccio per me, solo per me; in
fondo chi è più importante di me e del modo in cui vivo la mia unica avventura?
Perché quella conterà alla fine. Non se ero anche un po’ omosessuale ed
omofobo, non se mi facevo le canne e bevevo, non se contravvenivo a qualsiasi precetto
della fede che dico di professare. Perché la sola fede che sto professando è la
mia fede. Poi, chiaramente, questa fede mi aiuta a sentirmi parte di qualcosa
di più grande, mi fornisce l’infrastruttura necessaria alle mie gesta. L’idea
che il mio gruppo mi ricorderà come un martire è centrale in tutta questa
liturgia; ma ancora il gruppo è il depositario delle mie gesta; vero che senza
gruppo non ci sarebbe memoria ma senza le gesta forse non ci sarebbe gruppo. Un
cane che si morde la coda, insomma. Un corto circuito di culture della morte:
una che ti dice che sei la cosa più importante e l’altra che ti suggerisce che
sei talmente importante che la tua morte sarà un capolavoro: chi parlava di
bella morte? Ah sì. Anche allora lo Stato così come lo avevano conosciuto era
in crisi, anche l’economia tanto bene non andava e pure allora vi era stata un’ondata
di romanticismo che faceva anelare alla morte ed alla guerra come momento
salvifico. Sopra queste culture, individualismo e superomismo, ci possiamo
costruire molti miti: la nazione, il califfato, la fede, l’antimodernismo. Al
fondo rimane la vittoria dell’individualismo su una dottrina che parlava di
giustizia e di libertà come percorso collettivo: non per scelta ma come unica
via. Parlava di socialismo. Ma ci avete detto che eravamo vecchi ed inutili.
Adesso tenetevi la gioventù che avete allevato, sono soli, feroci e senza
pietà. Proprio come li volevate. Gli avete insegnato che si deve vincere,
sempre e che se non si vince si forza il risultato. Gli avete detto che perdere
fa schifo e che il vincitore è uno solo e prende tutto. Vi stanno prendendo
tutto… pezzo dopo pezzo, cadavere dopo cadavere. Ah e se ve lo steste
chiedendo: hanno appena cominciato e voi non avete nulla da opporgli.
[1] Si parla
di Europa Occidentale perché prendere in considerazione il globo terracqueo
sarebbe fin troppo complesso; è bene, però, ricordare che i più sanguinosi
attentati degli ultimi anni hanno visto come teatro città del Medio ed estremo
Oriente.
lunedì 16 novembre 2015
Paris 13-11
L’unica difesa che abbiamo è
restare noi stessi. Così dice Alain Touraine. Non ci difenderemo dal terrore
diventando altro da noi, lasciando che la paura ci domini. Giusto da dire;
molto difficile farlo. Io mi occupo di violenza e terrorismo da anni, ho
intervistato terroristi di ogni colore politico, ho visitato luoghi e stati
mentali di disperazione e solitudine assolute cercando di comprendere le
motivazioni ultime che spingono un essere umano a pianificare e mettere in atto
attentati costati la vita a centinaia di persone; eppure l’altra sera sono
rimasto attonito e per molte ore non ho fatto altro se non inveire contro
telefoni che non squillavano. Ripetevo ossessivamente lo stesso gesto pur
sapendo che non c’era alcuna possibilità che le linee telefoniche mi
restituissero altro che un tragico silenzio. Ho sbraitato contro ogni possibile
dio e contro gli uomini con lo stomaco attorcigliato mentre tentavo invano di
avere notizie dai molti amici che vivono a Parigi. Ed è differente; quando una
cosa del genere capita così vicino, a persone a cui vuoi bene lungo strade che
hai camminato e posti che conosci e che ami. I morti, per carità, hanno tutti
la stessa dignità, Parigi Beirut, i passeggeri dell’aereo russo e tutti gli
altri, ed il giudizio politico è lo stesso ma emotivamente è dannatamente
diverso. Poi sono passate le ore e lentamente ho ricominciato a pensare; è
passato il momento della paura irrazionale ed ho ricominciato a fare la sola
cosa che mi riesce: pensare ed a volte scrivere. Questo è stato possibile solo
perché nessuno delle persone che amo è rimasto ucciso o ferito. Una cara amica
era al Bataclan giovedì sera, un altro ci abita di fronte ed ha dovuto passare
la notte fuori casa; un’altra cara amica era a Beirut e cercava di tornare a
casa sua a Parigi (lei vince una specie di premio…).
Come spesso mi capita quando non
capisco bene le cose, leggo. Leggo spesso. Ieri notte rileggevo alcuni passaggi
di Gramsci sulla rivoluzione passiva ed il fascismo. La cultura popolare sulla
quale si poggia qualsiasi regime. Non costruisci un regime senza essere profondamente
radicato nella cultura del popolo. L’ISIS è un gruppo islamico. Sì, più o meno.
Ci sono un miliardo e mezzo di persone di religione islamica nel mondo.
Fortunatamente quasi nessuno di loro condivide l’avventura politica della
creazione di un nuovo stato che unifichi i vecchi territori del califfato per
poi lanciare la guerra santa contro il resto del mondo. Coloro i quali
condividono questa visione sono molto pochi ma molto agguerriti. Hanno una
visione e la perseguono con tenacia e con ferocia. Siamo passati anche noi
attraverso decenni di guerre a sfondo religioso. Poi in realtà non c’era la
sola religione bensì complessi equilibri di potere e rapporti di forza. Pur di
porre un limite alle mire espansioniste di questa o quella casata ci siamo
inventati la territorialità della fede: vivi in un paese il cui principe è
protestante? Bene sei protestante pure te. Non ti va bene? Te ne vai. Cattolico
il re? Cattolico pure tu. È una semplificazione ma più o meno è andata così; a
parte un gruppo di puritani talmente bigotti che gli inglesi li cacciarono a
fondare i futuri Stati Uniti (fosse affondata la Mayflower….). Dicevamo,
quindi, la religione diventa un fattore che aiuta i futuri stati a darsi
un’identità omogenea, a costruire basi anche giuridiche di convivenza. La
guerra diviene un affare di Stato e tra Stati. Lo spettro della guerra civile
viene allontanato almeno fino alla Rivoluzione francese. Li si trattava di
cacciare un Re ed istituire un governo basato su diritti di proprietà invece
che di nascita. È la modernità; non è che ti opponi alla modernità e se lo fai
sei destinato a perdere. Fosse così facile dovremmo solo aspettare che il
fondamentalismo religioso perisse da solo sotto le progressive sorti della
storia. Ecco non va per niente in questo modo. Non c’è nessun verso, la storia
non ha fini non mira a nulla. Bisogna scegliere. Non c’è causalità ineccepibile
nelle vicende umane. Bisogna scegliere. L’ISIS ha caratteristiche profondamente
anti moderne ma risponde in maniera contemporanea a sfide presenti e lo fa con
mezzi assolutamente efficaci. Migliaia di giovani e giovanissimi che si
uniscono alle sue file ogni mese dovrebbero averci fatto aprire gli occhi.
L’altra notte hanno vinto. Una battaglia, certo non la guerra ma hanno vinto.
Se una ventina di giovani militarmente poco addestrati ma con una ferrea
volontà di morte sono in grado di paralizzarci a questo punto: hanno segnato un
bel punto. Mentre perdono terreno in Medio Oriente rilanciano; quello che mi
spaventa e non sapere quanti giovani partiranno domattina per la Turchia col
solo scopo di attraversare una frontiera ed unirsi a loro. Possiamo batterli
militarmente ma se non capiamo la cultura che li ha portati fin qui non
vinceremo mai. Sono forti? O siamo noi ad essere divenuti deboli? L’altra sera
un caro amico mi diceva che vedendo i loro video sembra di guardare un video
game: sono cresciuti con Doom, questo è una versione upgrade! È una
provocazione sia chiaro ma che avventura stiamo offrendo? Attenzione non dico
che si sconfigge l’ISIS offrendo avventure facili ma non sottovaluto la potenza
evocativa di una visione; i ragazzi del ’68 sognavano il socialismo, e quelli a
cui non fregava nulla della politica di andare sulla Luna! Quali grandi
aspettative stiamo creando come società? Cos’abbiamo da offrire? Per cosa
rischiare? Per pagare i debiti della carta di credito? Per l’assicurazione
sanitaria? Cazzo è tutta la vita che sogno di ammazzarmi di fatica per arrivare,
da vecchio, a pagarmi la protesi di titanio all’anca! Sia chiaro cerco di
capire; tra la fine del ’44 e la primavera del 1945 furono migliaia i
giovanissimi che si arruolarono volontari nelle SS e nella Wermacht. La guerra
era persa ma una generazione cresciuta in un mondo socializzato ad una violenza
terribile non poteva pensare di non combattere; di non far parte di un’isteria
collettiva. Qui di generazioni ce ne sono almeno due che sono cresciute in
Medio Oriente sotto le bombe ed in occidente, figli di seconda o terza
generazione di emigrati, con lo spettro di un’esclusione sociale perenne.
Ora è chiaro che la politica non
può essere solo visione ma deve riuscire a darsi delle gambe sulle quali far
camminare davvero i sogni e le aspirazioni. Oggi le gambe però mi paiono essere
state pezzate così irrimediabilmente che non è data più nemmeno la possibilità
della visione. L’ISIS ha una visione, atroce per molti di noi ma fornisce una
risposta: la fede come identità transnazionale che identifica amici e nemici
dentro un piano quasi escatologico di rivoluzione globale. Non importa che sia
vera fede, importa che quell’idea di fede venga riconosciuta dalle masse come
qualcosa di familiare, di rassicurante, come un elemento culturale ancestrale
attorno a cui radunarsi. L’ISIS per dirla con Gramsci ha occupato inizialmente
le casematte di alcuni paesi incorporando due degli aspetti fondamentali per la
creazione dell’egemonia culturale: scuola e religione. Le madrasse, le scuole
coraniche, finanziate spesso dai sauditi, in cui le famiglie povere potevano, e
possono, mandare gratuitamente i bambini sono state, a partire dagli anni ’90,
la pietra angolare delle organizzazioni terroriste. Quello è stato il primo
passaggio di vittoria egemonica della loro visione; il secondo è stato
l’utilizzo dei nuovi media per far aderire quell’ideologia globale ad una
realtà prima virtuale e poi fisica; facebook, twitter, canali tematici di
indottrinamento, e dall’ideologia agli affari con gli sharia bond ed i fondi
per finanziare attività lecite ed illecite in modo anonimo e puro dal punto di
vista religioso. La struttura dell’estremismo è fitta e si compone di centinaia
di sigle a livello planetario. Vieni a costruire un impero, immolati per
qualcosa di eterno ed invincibile; potranno sconfiggerci oggi ma vinceremo
domani e tu sarai un martire immortale. Eccola la promessa: l’immortalità. La
stessa di ogni regime totalitario.
L’idea prima dell’individuo, il
gruppo, il clan, la famiglia, il partito, la patria…si potrebbe andare avanti
all’infinito. E tra i pochi eletti che saranno sempiternamente ricordati: tu!
La riscoperta della specificità individuale dentro un progetto millenarista. La
stessa dicotomia tra anti modernità e contemporaneità che fa vivere un’ideale
globale nel precipitato novecentesco di uno Stato. La religione, da questo
punto di vista, non è così centrale; diviene centrale come apparato ideologico
e politico. L’ISIS lancia una sfida politica alla quale può rispondere solo la
politica. Allora la frase iniziale di Touraine non basta più: non possiamo
rimanere quelli che siamo, abbiamo bisogno di ripensare paradigmi di
trasformazione e di puntare di nuovo alla Luna ed alle stelle. Poi tutto rimane
muto tutto si fa più oscuro pensando al suono delle sirene, all’odore
della cordite che rimane nell’aria per ore, al sangue che non lavi via dalla
pelle, alla paura che ti fa svegliare la notte a mesi di distanza.
lunedì 13 luglio 2015
Nessuno spazio di riformismo
Da qualche anno oramai cerco di
comprendere la crisi economica che attanaglia quest’angolo di universo
conosciuto con i pochi strumenti che mi sono costruito in anni di
peregrinazioni, militanza politica e studi. Sono marxista per formazione e,
quindi, ho la tendenza a spiegare la realtà che mi sta intorno affidandomi a
quelle categorie; non credo siano sempre infallibili ma non penso siano più
fallaci di altre e, fino ad oggi, mi convincono più di altre. Non ho alcuna
intenzione di formulare una spiegazione complessiva di questa crisi in un
singolo post ma dato che ne ho scritti altri forse un giorno tenterò di
raccoglierli. Prima di tutto credo che ci siano da separare alcuni piani del
ragionamento che sono almeno 3: uno economico, uno politico ed uno geopolitico.
Sono convinto che senza l’analisi e l’intersezione di questi 3 piani poco si
capisca di ciò che sta accadendo. Una volta analizzati questi tre aspetti sarà,
forse, possibile cercare di tirare delle conclusioni.
La crisi da un punto di vista
puramente economico ha a che fare con 3 eventi che si sono alimentati l’un
l’altro ed al quale sottende un dato ideologico molto forte. Il primo di questi
livelli è legato alla caduta tendenziale del saggio di profitto. Per via dell’accelerazione
tecnologica che abbiamo vissuto negli ultimi 30 anni le imprese si sono
ritrovate a dover fare investimenti sempre più massicci in capitale fisso. Per
intenderci innovazione sia di processo che di prodotto. Questo erode il saggio
di profitto. Le risposte possibili a questo fenomeno sono solitamente almeno 3
ma cerchiamo di analizzare qual è stata la risposta europea: la compressione
del monte salari. Dato che le spese per l’innovazione sono, fino ad un certo
livello, ineludibili il capitale tenta di rivitalizzarsi, cioè cerca di
riacquisire capacità riproduttiva, abbassando i salari. In tutta Europa,
infatti, i salari sono scesi a parità di produttività su ora lavorata. Per
raggiungere questo obiettivo si è smantellato il welfare, cioè salario accessorio
e si sono smembrati i diritti fondamentali primo tra tutti proprio il diritto
al lavoro cancellando i contratti a tempo indeterminato.
Meno welfare, che ricordiamolo
per inciso è salario, nessuna garanzia contrattuale a fronte di una maggiore
produttività per singola ora lavorata. Queste condizioni hanno creato una
condizione classica del capitalismo ossia una sovrapproduzione. Almeno dalla
prima metà degli anni ’90 del novecento si produceva troppo; in tutti i
settori. Basti pensare alla sistematica distruzione di tonnellaggi importanti
nell’agro alimentare dettata dalle regole europee per comprendere questo
passaggio. La distruzione da solo non basta, però. C’è bisogno di incrementare
i consumi. La crisi greca, per fare un esempio, nasce non tanto e non solo da
un debito pubblico fuori controllo ma soprattutto da un debito privato
gigantesco a fronte di una produzione azzerata. La Grecia, così come il
Portogallo ed in parte la Spagna erano e sono paesi a scarsa vocazione
industriale; li si è guidati in un triplo salto mortale dal settore primario al
terziario avanzato chiedendogli, allo stesso tempo, di consumare di più, sempre
di più. Dovevano consumare merci prodotte dai paesi ricchi, attenzione non nei
paesi ricchi, anche, ma soprattutto dai paesi ricchi come la Germania. Se il
cittadino medio portoghese o greco non ci riusciva gli si veniva incontro con
la più antica delle invenzioni: il prestito. Il costo del denaro venne
abbassato sempre di più per far sì che i cittadini dei paesi poveri potessero
consumare. Questo semplicemente perché altrimenti non si scongiura il rischio
della sovrapproduzione. Abbiamo quindi vissuto un decennio con tassi d’interesse
molto bassi e prestiti al consumo concessi con grande facilità. A questo ha
fatto da contro altare una caduta sempre più rapida sia dei tassi di
occupazione che d’industrializzazione. Sempre per poter combattere la caduta
del saggio di profitto il capitale è migrato verso lidi più profittevoli; est Europa,
paesi asiatici dell’America del Sud e parzialmente verso l’Africa. Attenzione
non sono stati soltanto i capitali maturi a optare per questa scelta, non siamo
di fronte ad una migrazione che permette di sfruttare macchinari e processi
vecchi in paesi vergini. Persino la Cina la cui industrializzazione di massa è
decisamente più recente di quella Europea ha cominciato ad produrre in Vietnam
e Cambogia onde poter sfruttare salari più bassi. Proprio al gigante asiatico
ci si volgeva negli ultimi anni speranzosi che vivesse un boom tale da poter
trascinare con sé l’economia mondiale; questo non sta accadendo semplicemente
perché, seppur di Stato, quello cinese è un sistema capitalistico e vive le
contraddizioni classiche del capitalismo. Ed a queste contraddizioni classiche
reagisce in modo altrettanto classico: abbattimento del monte salariale ed
imperialismo. Sul primo basti guardare i dati e gli articoli di Yang, Chen e
Monarch su riviste quali la Pacific Economic review; per il secondo aspetto
aprire il Sole 24 ore un giorno qualsiasi degli ultimi 5 anni e scorrere le
notizie dell’espansione cinese in giro per il mondo. Non starò a scomodare
Hilferding quindi basti guardare D. Harvey quando nel 2003 parlava di nuovo
imperialismo per descrivere la tendenza che il capitale stava prendendo su
scala globale. Ma, quindi, che diamine succede? Succede che il pianeta è
limitato. Non c’è posto, spazio e risorse per tutti. Lo abbiamo sempre saputo
basta entrare alla prima lezione di un qualsiasi corso di micro-economia fatto
con un poco di criterio per sentirselo dire. Ora il vero punto, come sempre,
sta qui: come distribuiamo la ricchezza che è, appunto, limitata? Chi ha
accesso a cosa? E secondo quali regole? La Prima e soprattutto la Seconda
guerra mondiale aveva non solo posto fine alle aristocrazie prima ed ai
totalitarismi poi, avevano segnato la fine di un pensiero ottocentesco di
matrice protestante che incentrava lo sviluppo economico sul pareggio di
bilancio. Non lo faceva a seguito di grandi studi economici ma solo perché l’economia
che era, a ragione, considerata una scienza sociale doveva conformarsi all’etica.
E dato che l’etica del tempo poneva un’enfasi particolare sulla laboriosità ed
il risparmio pensando di poter gestire una nazione come una massaia, il
pareggio di bilancio era giusto ed etico. Da un punto di vista politico questo
voleva dire essere magari sì repubblicani ma era quello un ideale democratico
monco; era ancora legato al censo: se lavori e guadagni allora voti. Se sei un
fannullone non hai diritto di scelta, oggi accade moltiplicato lo stesso
fenomeno: non importa se i cittadini greci hanno votato; sono considerati
antropologicamente incapaci di decidere ed è, quindi, giusto che i saggi risparmiatori
decidano per loro. Il censo prova la loro inettitudine politica. Ora tra il
1914 ed il 1945 questa follia si è sgretolata sotto il peso di due conflitti
mondiali; intendiamoci non sono stati i poveri a fare le guerre. Le guerre le
han decise le case regnanti e qualche cancelleria di supposti Reich millenari.
Ai poveri è stato chiesto di morire a milioni ed in cambio di questo gli si è
concesso il voto. Non la libertà, non l’eguaglianza non uno straccio di diritto
reale e materiale; no quelli se li sarebbero dovuti sudare in fabbrica e
conquistare con le lotte sociali. Il suffragio universale viene però concesso.
Dopo la Seconda guerra mondiale vi era poi il nemico comunista da combattere
anche e soprattutto sul piano interno e specialmente in Europa. Qui da noi la
retorica puritana del self made man non aveva attecchito poi tanto, i sindacati
erano sopravvissuti in qualche modo ai fascismi, i partiti della sinistra
prendevano carrettate di voti e soprattutto c’era il modello: il fordismo.
Te lavori 12 ore al giorno ed una
parte del tuo salario invece che dartela ti viene trattenuta dallo Stato che in
cambio ti offre dei servizi: scuole pubbliche, sanità e pensioni. Oddio non
andò proprio così ci furono feroci battaglie ma in fondo eravamo in un momento
di crescita e qualche piccola concessione si poteva anche fare: Anche perché
investire e far fruttare il capitale fuori dalla sfera occidentale era, allora,
molto difficile. Oggi tutto questo non è più vero. La geopolitica aiuta e viene
incontro al vincitore del nostro secolo: la borghesia. Gli investimenti si
spostano i mercati occidentali rallentano e quelli dei paesi in via di sviluppo
non sono ancora abbastanza forti. Che accadde? Nulla stiamo cambiando il
modello di produzione solo che mentre l’Europa non è competitiva da un punto di
vista di saggio di profitto i paesi in via di sviluppo non sono ancora pronti
al 100%. Il capitale stagna ed il saggio di profitto decresce. In Europa quindi
cerco di abbattere il monte salari, di rimbalzo c’è un lieve aumento dell’occupazione
a condizione ottocentesche, mentre attendo che una serie di paesi, soprattutto
Africani, divengano terreno fertile per la riproduzione del capitale. Per
intenderci dovete pensare al capitale come ai Panda…farlo riprodurre è un
macello, è una bestia esigente: vuole manodopera qualificata e passiva,
infrastrutture all’avanguardia ed economiche vuole tasse molto basse e rendite
alte; incontentabile insomma.
Ora purtroppo la geopolitica non
è una scienza esatta e l’economia men che meno, quindi, tutto questo
ragionamento che avrebbe spinto alcuni di voi verso l’Angola in cerca di facili
fortune si inceppa su di un punto, sempre quello: il pianeta ad un certo punto
finisce ed in Angola a cercare fortuna ci stanno andando tutti. Questo acuisce
il problema perché per sconfiggere la concorrenza dei paesi che un tempo erano
colonie e che ora si affacciano al tavolo dei grandi avanzando pure pretese, il
posto al Sole, mi servono altri denari. Ma ho appena detto che il mio capitale
è vecchio e non si riproduce? Dove li trovo altri denari? Il saggio di profitto
come l’erezione di un ottantenne cala….ah il vigore dei vent’anni…o degli anni ’20!
Dunque dove trovo il viagra..pardon altri quattrini freschi per rivitalizzare
il mio vecchio capitale? Facile, dai poveri! Si erano dimenticati di quella
massa di disperati accatastati in un angolo in Europa ai quali avevano prestato
un sacco di soldi per mantenere alti i loro livelli di consumo. Scusate ragazzi
i soldi dovete ridarceli indietro. E se non li avete amen tirate la cinghia c’è
la congiuntura internazionale le borse languono ed al capitale non gli tira.
Vorremmo mica farci fregare da questi parvenu? E poi scusate non siete nemmeno più operai
fordisti per cui vi stiamo erogando un welfare che non state pagando. Mica
possiamo fare regali! Eccola la retorica nazionalista, becera che ricorre a
strumenti di terrore come il pareggio di bilancio a percentuali assassine per
dirti una cosa semplice: devi soffrire per la patria che a breve ti chiamerà di
nuovo a morire. Sono il nemico non un avversario ma con i nemici non si può
giungere ad accordi, non ci si parla neppure col nemico. Lo si combatte fino
alla fine. Siryza era ed è una forza riformista in un momento nel quale non vi
sono spazi di riformismo, pensavano i compagni greci di essere di fronte ad un
avversario, stolti. Siamo di fronte al nemico di classe quello di sempre.
giovedì 11 giugno 2015
equilibri
Matteo Renzi è diventato Presidente del Consiglio dopo aver
sconfitto Pier Luigi Bersani come leader del PD.
Grazie a questa manovra politica, del tutto legittima perché
siamo una democrazia parlamentare e non presidenziale, oggi il giovane ex
democristiano è alla guida del paese e sta realizzando un programma di riforme
di grande importanza. Sono misure volte a ridurre gli spazi di critica, a
criminalizzare il dissenso sociale ed a portare a termine un’idea precisa
secondo la quale l’Italia può uscire dalla crisi economica comprimendo il monte
salari. Va da sé che per raggiungere questo scopo si debba auspicare una
dialettica capitale-lavoro pressoché inesistente o, ancora meglio, evocare lo
spettro autoritario del sindacato unico. Vi è anche da dire che perseguendo
quest’obiettivo si può contestualmente tagliare la spesa pubblica, per lo meno
quella destinata alla formazione superiore. Sì perché una manodopera mal pagata
non necessita di istruzione superiore e di conseguenza su quel capitolo di
spesa possiamo permetterci di risparmiare. Il piano in sé potrebbe anche
funzionare. In fondo il boom economico italiano era basato su bassi salari e
tanta repressione; nulla di nuovo. Certo all’epoca era la DC a fare queste cose
ed il PCI stava all’opposizione. Oggi no. E questo è, forse, il problema. Non
esiste alcuna forza di opposizione al pensiero ottocentesco che in tutta Europa
si è affermato. Siamo persino riusciti a riesumare un morto: il pareggio di
bilancio. Se qualcuno si prendesse la briga di leggere gli strali degli
americani contro Einaudi che tesaurizzò gli aiuti del piano Marshall per
raggiungere il pareggio di bilancio ci renderemmo conto che abbiamo
abbondantemente sforato l’assurdo. Governare processi complessi però è affare
che richiede versatilità è il piano per quanto preciso necessita degli
aggiustamenti. Uno di questi aggiustamenti, doloroso ma necessario, passa
attraverso il consenso. Matteo Renzi il consenso, quello elettorale, non se lo
era ancora pienamente guadagnato visto che il trionfo alle elezioni europee non
poteva, giustamente essere sufficiente. Ma le regionali le ha vinte. I dati
parlano chiaro. Potremmo stare qui ore ad analizzare i flussi di voto ma ha
vinto in molte aree del paese storicamente vicine alla destra. Per farlo ha presentato
l’impresentabile, si è detto. Uomini politici di lungo corso, alla faccia della
rottamazione, implicati in svariate storie spesso poco chiare. Ha anche tentato
di piazzare qualche LadyLike qua e là ma gli è andata male. Le elezioni
regionali e nazionali si basano su compositi equilibri di potere che vanno
gestiti dentro e fuori dal partito. E sono stato quegli equilibri di potere ad
aver deciso le candidature. Facciamo un esempio: la classe dirigente del PD
campano è coinvolta da anni in scandali che hanno a che fare con corruzione e
presunti collegamenti con la criminalità organizzata. Come hanno votato i
rappresentanti campani dentro il PD quando Renzi ha sfidato Bersani? Compatti
con Renzi. Da quel giorno in poi nessuno ha più sentito una parola sulla “terra
dei fuochi” e su nomi come Bassolino o Rosa Russo Jervolino è calato il
silenzio. Oggi il ne-governatore della Campania ha detto che Saviano s’inventa
la camorra per non restare disoccupato.
Lo dicono da anni, lo dissero anche della mafia che non
esisteva. A Giovanni Falcone e Paolo Borsellino li chiamarono pazzi visionari. Io
non so se De Luca è un camorrista o abbia mai avuto a che fare con la camorra e
francamente dopo l’affermazione di oggi non m’interessa. Le organizzazioni
criminali esistono ed esistono non solo come forme di potere alternativo allo
Stato ma, l’ho già scritto, come simbionti dello Stao. Le due strutture al Sud
non sopravvivono l’una senza l’altra ed i due progetti sono inequivocabilmente
interconnessi. Chi sono i mafiosi? Davvero pensate di trovarli al bar con la
coppola e la lupara? Chiaramente no. Governano i grandi processi economici del
paese come insegna la questione EXPO. Hanno bisogno di giovani laureati? No
hanno bisogno di 3 cose: manodopera a basso costo e desindacalizzata,
amministratori locali compiacenti e possibilmente che si restauri una volta per
tutte un’idea: la mafia non esiste. In fondo nemmeno Renzi esiste in quanto tale: è il risultato di accordi di potere e di classe. Non è colpa di Renzi o del PD...nemmeno loro esistono.
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